Tabor, Valsusa, settembre 2015
14,5x21 cm.
20
2.00
Questi «materiali» di Tabor rispondono all’esigenza di pubblicazioni più agili rispetto ai libri editi finora, con uscite più rapide e tirature più limitate (magari finalizzate ad accompagnare una specifica iniziativa o a contribuire a un dibattito). Materiali per la discussione, quindi, stimoli alla ricerca, alla critica e, soprattutto, all’autocritica. Già, perché crediamo che per affinare le armi della critica sia oggi più che mai prioritario rivolgerle su noi stessi, sulle nostre inadeguatezze alle esigenze rivoluzionarie del presente. Anche perché ci sembra che questa disponibilità a mettersi in discussione non sia così diffusa, anzi. Troppo spesso, a fronte di un anti-dogmatismo di facciata, ogni “novità”, ogni rottura dei (propri) schemi, viene vissuta come una minaccia a quella corazza identitaria che erigiamo per proteggerci dal “mondo esterno” e dalla sua irriducibilità a schemi preconfezionati. In quest’ottica, il testo qui pubblicato, al di là delle singole posizioni che si possono più o meno condividere, ci pare particolarmente adeguato. Quello che emerge, infatti, da questa esposizione del pensiero di Bookchin e di Öcalan, è un percorso, teorico e pratico, non fossilizzato in una ideologia immutabile, ma aperto al confronto continuo con i propri limiti e i propri sbagli, oltre che con le modificazioni della realtà circostante. Ed è questo metodo, a nostro avviso esemplare, che vogliamo proporre all’attenzione dei lettori e delle lettrici. Sarà forse un caso, infatti, che proprio il movimento ispirato da Öcalan, che ha saputo apertamente rivolgere le armi della critica contro se stesso e i propri errori, sia oggi il solo movimento in grado di esprimere anche una critica in armi all’altezza delle trasformazioni rivoluzionarie in atto?